Per cominciare, la specializzazione, oggi, interessa trasversalmente tutti i livelli di pratica e i cicloamatori dimostrano tutti una grande dimestichezza con i concetti di soglia, ripetute di potenza, Sfr, fartlek, ecc. Di sicuro, ognuno interpreta la qualità come l’intensità confacente al proprio livello di pratica, ma in comune c’è il fatto che pure chi si allena “solo” tre volte a settimana è fermamente convinto che sia più proficuo investire sugli aspetti qualitativi piuttosto che consumarsi in estenuanti e ripetute sedute di fondo lungo o lunghissimo, come si faceva una volta.
Tra tutti gli sport, il ciclismo è uno di quelli in cui è molto difficile, se non impossibile, esercitarsi soltanto nelle espressioni atletiche che, per semplificare, si è soliti far rientrare nell’ambito della “qualità”: la componente aerobica della resistenza di lungo e, ancora più spesso, di lunghissimo periodo, è infatti predominante nel nostro sport. Per la scienza dello sport, anche uno sforzo di durata superiore al minuto è definibile come sforzo di lungo periodo. Questo è il motivo per cui, quando ci si esercita nelle ripetute in salita piuttosto che nei tratti cronometrati, si vanno a stimolare qualità atletiche che è più facile assimilare agli esercizi di fondo e non ai lavori di forza, di coordinazione e di velocità pura, che sono invece quelli tipici degli sport in cui la componente prevalente è quella anaerobica (sollevamento pesi, discipline di velocità dell’atletica leggera, ecc.). Questa premessa di metodo è importante: serve ad assegnare uguale “dignità” allenante ai lavori di qualità come gli scatti, le progressioni corte,
gli sprint o le volate simulate, i lavori che tanti fondisti, ancorché di alto livello, considerano poco redditizi. La loro opinione, generalmente, è questa: «Il tempo dedicato al lavoro specifico preferisco impiegarlo per fare le Sfr o per le salite al medio, perché sono più redditizie e perché mi fanno esercitare in un modo molto simile alle condizioni che troverò alla granfondo (o alle mediofondo)». Il ragionamento degli amatori è corretto perché ha un senso, ma il senso non è quello che spesso si immaginano. Gli scatti, gli sprint o i lavori di alta velocità sono degli esercizi altamente qualificanti per l’allenamento del ciclista, perché rendono più completo il programma di preparazione andando a “costruire” la condizione esercitando tutte le espressioni atletiche di resistenza (di lunghissimo, lungo, breve e, appunto, brevissimo periodo). Il fatto che per un cicloamatore siano da evitare è solo legato al fatto che, essendo esercizi di altissima qualità, richiedono una grande concentrazione mentale e una grande precisione nell’eseguirli. Va aggiunto, inoltre, che, molte volte, tali esercizi poco si conciliano con l’età dei diretti interessati, spesso superiore ai 40 anni.
C’è poi una tendenza molto diffusa ad accoppiare il concetto di ripetuta, e quindi di qualità, con il periodo invernale, in particolare dal mese di gennaio in poi. Lo schema prevalente nell’allenamento, infatti, è questo: «A dicembre (e in certi casi a novembre) riprendo la bicicletta, ma solo per fare un po’ di kilometri in scioltezza. A gennaio comincio a esercitarmi con le ripetute. A febbraio continuo le ripetute e, anzi, le approfondisco, sia nel numero che nella durata, e poi a marzo (o aprile, per gli amatori dell’Italia più settentrionale) abbandono i lavori specifici perché iniziano le corse e, a questo punto, le uscite infrasetttimanali diventano solo “sgambate”». In pratica, si fanno due o tre mesi consecutivi di qualità e basta, perché, nel periodo agonistico, quasi tutti reputano sbagliato continuare ad effettuare ancora lavoro specifico. «Non c’è allenamento migliore della gara – dicono spesso gli amatori -, per questo, quando cominciano le corse, non ha senso continuare a fare ripetute, perché lo stimolo della gara è di per sé molto più allenante della migliore ripetuta». Anche questa volta siamo obbligati a “correggere il tiro”: questa posizione ha un base di verità, ma ha anche molte incongruenze. Risulta essere vero che la gara rappresenta il momento in cui il fisico riesce a raggiungere le intensità di sforzo più elevate ed è vero che le stesse intensità costituiscono lo stimolo migliore per determinare un adattamento nel fisico, ma, come ricorda la principale legge della costruzione della “condizione”, qualsiasi tipo di stimolo allenante crea un livellamento (e a lungo andare uno scadimento) della condizione, se è ripetuto troppo a lungo nel tempo. Questa legge è valida sia quando la monotonia è riferita all’allenamento sia quando è riferita alla gara. Insomma, il migliore stimolo allenante per il fisico è sempre quello più vario ed eterogeneo possibile. Ben vengano, quindi, dei periodi di interruzione dall’attività agonistica durante la stagione, ai quali si possono fare coincidere dei cicli (o microcicli) di allenamento durante i quali riprendere ad esercitare, ancora meglio se con esercizi diversificati, le espressioni atletiche allenate durante il periodo di allenamento principale, che, per esigenze di calendario (gare principali concentrate soprattutto tra aprile e giugno), non può che continuare ad essere quello svolto nel periodo invernale e di inizio primavera.
Se si parla di allenamento di qualità, i cicloamatori assimilano subito il concetto alla salita, perché questo è il terreno d’elezione per fare le ripetute, per effettuare lavori di forza oppure, semplicemente, per mettersi alla prova su un tratto di strada che si è soliti scegliere come test. Inoltre, la predilezione per la salita risulta anche dalla sua affinità con
le condizioni che poi ci si ritrova in gara, specificatamente alle granfondo: «Alle granfondo c’è molta salita e, quindi, è su questa che è bene allenarsi», è il ragionamento dei fondisti. Ancora una volta, però, siamo obbligati a correggere questo punto di vista: l’allenamento in salita è sicuramente molto redditizio, ma lo è soltanto perché la strada in pendenza è il terreno che meglio predispone il ciclista ad effettuare dei lavori di qualità. In realtà, intensità di lavoro simili a quelle che si raggiungono in salita le si potrebbero allo stesso modo raggiungere in pianura o su una strada con “mangia e bevi”. Affiancare alle ripetute in salita dei lavori altrettanto specifici effettuati su altri terreni renderebbe il percorso di preparazione più vario e quindi più completo, perché stimolerebbe il fisico
sia dal punto di vista dell’intensità dello sforzo sia da quello, di ambito biomeccanico, relativo agli aspetti di coordinazione e di posizione in sella. Le ripetute in pianura, ad esempio, portano a coinvolgere distretti muscolari che nei lavori in salita sono meno sollecitati. Ciò che porta il cicloamatore a evitarli è proprio il fatto che sono spesso più difficili da eseguire, perché implicano un maggiore coinvolgimento degli aspetti di coordinazione, oltre a quelli di intensità dello sforzo già di per sé connessi con il tipo di lavoro eseguito. Escluderli dal piano di allenamento rende però la preparazione più ripetitiva (e, come detto prima, meno redditizia), mentre inserirli nella tabella rappresenta un importante elemento qualificante e, non da ultimo, rende il lavoro di qualità più stimolante, proprio perché meno monotono.